In diritto, patrimonio è l’insieme dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a un soggetto; semplificando, si può dire che è la differenza fra i crediti e i debiti di un individuo. In contabilità invece, viene definito patrimonio l’insieme dei beni economici a disposizione dell’impresa; tende quindi a coincidere con l’attivo. La differenza fra l’attivo e il passivo è invece denominata patrimonio netto. In pratica il patrimonio netto dei ragionieri corrisponde al patrimonio dei giuristi.
Fatte queste precisazioni terminologiche, fondamentali per non incorrere in confusioni e fraintendimenti, va detto che il patrimonio netto rappresenta quello che comunemente viene chiamato capitale di rischio dell’impresa, contrapposto al capitale di debito, che sono le passività, ossia le risorse economiche prese a prestito presso terzi. Il patrimonio netto rappresenta cioè quanto i soci di un’impresa collettiva, o il singolo imprenditore se l’impresa è individuale, hanno conferito direttamente sotto forma di versamenti, o indirettamente sotto forma di utili o altre risultanze attive non distribuite, al fine di dotare l’intrapresa delle risorse economiche indispensabili per potere operare. Tale valore viene definito anche capitale di rischio, perché se l’iniziativa dovesse fallire, l’intero ammontare dei versamenti e degli utili non distribuiti andrebbe definitivamente perduto.
Nonostante che il patrimonio netto, in quanto differenza dell’attivo con il passivo, rappresenti un valore unico e inscindibile, la legge prescrive che nello stato patrimoniale venga distinto nelle sue componenti ideali, classificate in ordine di indisponibilità, partendo dalla componente che più di tutte è vincolata alle sorti dell’impresa, il capitale (sociale), ossia il capitale sottoscritto dai soci o dal singolo imprenditore (nel qual caso sarà semplicemente capitale), in sede di costituzione dell’impresa o di aumento di capitale.
Risulta essere importante non confondere il patrimonio netto con il capitale sociale: quest’ultimo, lungi dal rappresentare il valore dei mezzi propri a disposizione dell’impresa, come il suo nome indurrebbe a ritenere, è un semplice dato contabile, privo sotto questo profilo di efficacia segnaletica.
Oltre al capitale sociale, fanno parte del patrimonio netto tutta una serie di riserve, ciascuna distinta a seconda della fonte da cui ha tratto origine; per cui, in ordine di indisponibilità: la riserva da sovrapprezzo delle azioni, originata dall’emissione di nuove azioni a un prezzo superiore al valore nominale; le riserve da rivalutazione, iscritte quando una nuova legge consente di rivalutare i cespiti dell’attivo per tenere conto dell’erosione di valore dovuta all’inflazione; la riserva legale, detratta per legge ogni anno nella misura del 5% dagli utili di esercizio fino a quando non abbia raggiunto un valore pari al 20% del capitale sociale; la riserva per azioni proprie in portafoglio, iscritta per compensare la fuoriuscita di capitale dovuta all’acquisto da parte della società di proprie azioni; le riserve statutarie e le altre riserve, distintamente indicate.
Infine, compongono il patrimonio netto gli utili o le perdite riportati a nuovo e gli utili o le perdite di esercizio, sulla cui destinazione l’assemblea non ha ancora deliberato.
Il patrimonio netto costituisce il primo titolo della sezione dello stato patrimoniale in cui sono elencate le passività dell’impresa. La ragione della sua collocazione nel passivo tuttavia non ha nulla a che fare con la natura economica del patrimonio netto, che in nessun caso può essere definito come passività dell’impresa, ma dipende da questioni di tecnica contabile, in particolare dalla regola secondo cui il totale dell’attivo deve coincidere con il totale del passivo: essendo il patrimonio netto la differenza, generalmente positiva, fra attivo e passivo, non può trovare altra collocazione che nella colonna del passivo.
Al proposito, vale ricordare che il patrimonio netto può essere completamente eroso dalle perdite, che una volta venivano iscritte con segno positivo nella sezione dell’attivo poiché dovevano compensare il maggior valore delle passività.
Dal ’91, con l’adeguamento della normativa nazionale alla disciplina comunitaria, le perdite vengono iscritte, più coerentemente, alla voce del patrimonio netto (con segno, però, negativo). Può così capitare che una società in stato di totale dissesto economico abbia un patrimonio netto negativo: esso è la misura di quanto le passività superano le attività.