Una volta che il datore o i suoi collaboratori, cui sia stato delegato la gestione del potere disciplinare, hanno avuto conoscenza dell’episodio che si può configurare come infrazione disciplinare, dovrebbero preliminarmente verificare
—se e come l’episodio si è effettivamente verificato;
—se e come l’episodio può effettivamente configurarsi come infrazione disciplinare;
—quali ed in quale ruolo sono stati i lavoratori e gli eventuali terzi eventualmente coinvolti.
Sono leciti questi accertamenti?
La risposta è senz’altro positiva, a condizione che essi non violino però il diritto a difesa del lavoratore ritenuto autore dell’infrazione, ad esempio convocandolo per descrivere l’accaduto e traendo dalle sue affermazioni elementi tali da passare immediatamente dopo a contestargli formalmente gli addebiti. Il rischio è infatti che, una volta instaurato il percorso disciplinare e concluso con una sanzione, questa venga annullata dal giudice per violazione del secondo comma dell’art. 7 dello Statuto. Infatti, lo Statuto, al 5° comma dell’articolo 7, prescrive che la contestazione vada fatta per iscritto. È quindi lecito, nell’immediatezza dei fatti, sentire il lavoratore presuntivamente responsabile di un’infrazione, ma solo per acquisire notizie. L’addebitargli comportamenti disciplinarmente rilevanti non per iscritto viola le norme della Legge 300/70, inficiando la successiva procedura disciplinare.
Gli accertamenti preliminari dovrebbero essere improntati a notevole celerità di tempi ed effettuati, nel pieno rispetto delle norme di legge, con gli strumenti messi a disposizione del datore di lavoro proprio dallo Statuto dei lavoratori, e cioè con le guardie particolari giurate (ma solo nel caso di infrazioni che riguardino il patrimonio aziendale), con il personale di vigilanza ed i diretti responsabili del lavoratore , con i vari impianti ed apparecchiature di controllo (ovviamente utilizzati lecitamente) o con il ricorso a terzi.
All’effettuazione degli accertamenti preliminari, ove sia stata riscontrata la possibile esistenza di un’infrazione, deve seguire necessariamente e tempestivamente una formale contestazione degli addebiti: “in tema di licenziamenti (come di altre sanzioni) disciplinari, non sono illegittime le indagini preliminari del datore di lavoro, volte ad acquisire elementi di giudizio necessari per verificare la configurabilità (o meno) di un illecito disciplinare e per identificarne il responsabile, purché all’esito delle stesse il datore proceda (ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 3, della legge n. 300 del 1970) alla rituale contestazione dell’addebito, con possibilità per il lavoratore di difendersi anche con l’assistenza dei rappresentanti sindacali.” . La legittimità delle indagini preliminari è anche la necessaria e logica condizione per la successiva, eventuale contestazione disciplinare: “per quanto concerne la presunta violazione dell’art. 7, 1 n. 300 del 1970, non va dimenticato che una cosa è la fase preliminare delle indagini, che il datore di lavoro può eventualmente svolgere, al fine di acquisire, anche mediante l’audizione del lavoratore, i necessari elementi di giudizio per verificare la configurabilità o meno di un illecito disciplinare a carico di quest’ultimo, sempre che all’esito delle indagini si proceda alla rituale contestazione dell’addebito, con la possibilità per il lavoratore di difendersi, ed altro è l’apertura del procedimento disciplinare, che presuppone la conoscenza dei fatti e la individuazione del soggetto a cui imputarli, e non può procedere ma solo, eventualmente, seguire il compimento e la valutazione degli accertamenti preliminari”
Una volta conclusi gli accertamenti preliminari, ove si ritenga che l’episodio possa configurare un illecito disciplinare, occorrerà procedere, anche in questo caso rispettando il principio di tempestività, alla rituale contestazione nei confronti del lavoratore ritenuto responsabile. Non è superfluo affermare che, ove l’illecito disciplinare possa configurarsi anche come illecito penale, il datore di lavoro potrà informare le competenti autorità di Polizia giudiziaria per le attività di loro competenza.
Ma quali sono le condizioni di legittimità di tale atto?
Innanzitutto, la contestazione deve essere formalizzata per scritto, tramite una lettera di contestazione disciplinare, come prevede espressamente lo Statuto dei lavoratori per il quale “i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per scritto del fatto che vi ha dato causa.”. La mancanza della forma scritta determina la nullità dell’intero iter disciplinare, anche se il lavoratore abbia avuto conoscenza degli addebiti in modo diverso.
Unica eccezione prevista dal legislatore è quella che riguarda il provvedimento disciplinare del rimprovero verbale, adottabile in situazioni in cui non solo l’infrazione sia di lievissima entità ma anche quando questa sia immediatamente e senza incertezza alcuna imputabile al lavoratore.
La contestazione, ai fini di una completa validità giuridica, deve inoltre rispettare una serie di importanti requisiti
sotto il profilo formale, deve
—contenere una indicazione certa circa la sua attribuibilità all’azienda. A tal proposito, si ritiene sufficiente che sia scritta su carta intestata dell’azienda;
—indicare una data certa;
—indicare il luogo di emissione;
—essere sottoscritta, ai fini interni, da persona abilitata (in possesso cioè dei poteri di firma di questo tipo di comunicazioni, poteri che possono derivare da procura o delega) e, preferibilmente identificabile in base al ruolo ricoperto in azienda. Si presume, in base all’art. 2702 che la comunicazione scritta proveniente dall’azienda faccia piena prova, fino a querela di falso, tant’è che “in relazione ai requisiti formali del licenziamento, per atto scritto, a norma dell’art. 2 1. n. 604 del 1966, deve intendersi un atto sottoscritto dal soggetto da cui proviene la dichiarazione, a norma dell’art. 2702 c.c.”,
sotto il profilo dei contenuti, deve descrivere fatti (e non opinioni, giudizi, valutazioni).
In linea di massima, i sistemi di notificazione al lavoratore della contestazione sono i seguenti
Consegna diretta: la giurisprudenza prevalente ha riconosciuto la validità della comunicazione di atti aziendali con consegna a mani del lavoratore: “L’art. 7, commi 2 e 5, della legge n. 300 del 1970 impone la contestazione per iscritto dell’addebito quale presupposto necessario per l’adozione (non prima che siano trascorsi cinque giorni da tale contestazione) dei provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale, ma non indica le modalità di consegna al lavoratore dell’atto scritto contenente la contestazione, né in particolare prevede che questo debba essere spedito a mezzo raccomandata o che la sua consegna debba essere documentata dalla firma di ricezione del destinatario. Da tale disciplina normativa —analoga alle disposizioni dell’art. 2 della legge n. 604 del 1966 in tema di licenziamento — consegue che l’atto scritto contenente la contestazione dell’addebito può essere consegnato al lavoratore tramite persona incaricata dal datore di lavoro, la quale può essere assunta come teste ai fini della prova dell’avvenuta consegna”. Anzi, è stato perfino affermato che, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore ha l’obbligo di ricevere comunicazioni a mano, quando per legge o per contratto non sia prescritta una modalità specifica, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale è sottoposto il dipendente, purché la comunicazione avvenga in ambito aziendale: “Il principio, secondo cui, anche al di fuori dell’ambito di operatività dell’art. 138, comma 2, cod. proc. civ., il rifiuto del destinatario di un atto unilaterale recettizio di ricevere lo stesso non esclude che la comunicazione debba ritenersi avvenuta e produca i relativi effetti, ha un ambito di validità determinato dal concorrente operare del principio secondo cui non esiste, in termini generali ed incondizionati, l’obbligo, o l’onere, del soggetto giuridico di ricevere comunicazioni e, in particolare, di accettare la consegna di comunicazioni scritte da parte di chicchessia e in qualunque situazione. Infatti, al di fuori del campo delle comunicazioni normativamente disciplinate, quali quelle mediante notificazione o mediante i servizi postali, una soggezione in tal senso del destinatario non esiste in termini generali, ma può dipendere dalle situazioni o dai rapporti giuridici cui la comunicazione si collega. In particolare, nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile in linea di massima l’obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale egli è sottoposto (così come non può escludersi un obbligo di ascolto, e quindi anche di ricevere comunicazioni, da parte dei superiori del lavoratore), ma un obbligo analogo non è configurabile, in genere, al di fuori dell’orario e del posto di lavoro e, in particolare, in un luogo pubblico. (Fattispecie relativa al tentativo di consegna di una lettera — in ipotesi contenente la comunicazione di licenziamento — compiuto, da parte del fattorino della datrice di lavoro, sulla pubblica strada nei pressi dell’abitazione della lavoratrice; la S.C. ha confermato sul punto la sentenza di merito, che aveva ritenuto legittimo il rifiuto opposto dalla lavoratrice).” Il rifiuto del destinatario dell’atto recettizio di riceverlo fa sì che la comunicazione debba comunque essere considerata regolarmente ricevuta: “In tema di licenziamento, ove non siano previste modalità specifiche per la trasmissione della comunicazione di licenziamento, debbono ritenersi valide tutte le modalità che comportino la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità, quindi anche la consegna a mano del documento, personalmente al destinatario, all’in-temo della struttura aziendale, e il rifiuto a riceverlo non esclude che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta e produca i relativi effetti”.
Sotto il profilo operativo è senz’altro opportuno che l’azienda ponga in essere i seguenti comportamenti:
—organizzare la presenza di due testimoni, possibilmente non facenti parte della Direzione del personale o di quelle altre strutture organizzative che gestiscono il contenzioso disciplinare, tenendo comunque presente il rischio che venga eccepita la violazione delle norme sulla privacy;
—dare preventiva lettura al lavoratore del contenuto della comunicazione;
—per la certezza dell’avvenuta consegna, verificare che venga apposta la sottoscrizione per ricevuta del lavoratore di copia conforme
In caso di rifiuto del lavoratore, se si sono seguite le indicazioni sopra riportate, la notifica si ha per avvenuta e da quel momento decorrono tutti i termini di legge e di contratto (attenzione: perché ciò non sia contestato, è indispensabile che l’azienda sia in grado di dimostrare con assoluta certezza le modalità di tentata consegna, il rifiuto del lavoratore e l’attendibilità dei testimoni). È comunque buona prassi inviare con lettera raccomandata al lavoratore la stessa identica lettera che lui ha rifiutato, allegandola ad un’altra, nuova comunicazione con la quale si sintetizza quanto accaduto circa il rifiuto, indicando anche l’eventuale presenza di testimoni.
L’avvenuta consegna diretta a mani del lavoratore, con sottoscrizione per ricevuta da parte dello stesso, rende del tutto certe le decorrenze degli eventuali atti successivi (ad es. per la determinazione del periodo a disposizione del lavoratore per presentare le sue eventuali giustificazioni, per la scadenza del periodo di eventuale sospensione cautelare, per la scadenza del periodo entro il quale adottare l’eventuale provvedimento disciplinare, ecc.).
Spedizione a mezzo raccomandata: È una forma di notifica che segue le stesse procedure previste per la notifica di atti da parte degli Ufficiali giudiziari dalla Legge 890/82, n. 890.
Il rifiuto del lavoratore di ricevere la raccomandata, seguito al mancato ritiro dopo avviso di giacenza e relativa procedura, equivale a consegna, ritenendo specificamente applicabile quanto previsto dall’art. 40 del D.P.R. 655/82, con la conseguenza che: “la raccomandata con la quale viene comunicato al lavoratore il provvedimento di licenziamento — indipendentemente dalla eventuale impossibilità oggettiva per il lavoratore destinatario di averne conoscenza, o in assenza di una qualsiasi allegazione in tal senso — comunque si può ritenere giunta a destinazione e pertanto conosciuta dalla data della compiuta giacenza”. Si ritiene comunque applicabile per analogia il principio previsto per le notificazioni tramite Ufficiale Giudiziario: “Trova applicazione nella comunicazione del licenziamento quale atto unilaterale recettizio, la presunzione di conoscenza stabilita dall’art. 1335 c.c. per il fatto oggettivo dell’arrivo della dichiarazione all’indirizzo del destinatario, intendendosi per tale anche quello dallo stesso indicato al datore di lavoro come luogo di reperibilità”.
Al fine di evitare il rischio che il destinatario, pur ammettendo di aver ricevuto la lettera raccomandata, affermi di averne avuto solo l’involucro, privo di contenuto (cioè della contestazione degli addebiti propriamente detta) è opportuno effettuare la spedizione come “piego raccomandato”, evitando l’uso di buste, anche se tale tipo di cautela appare ormai desueta, perché è possibile provare per testimoni l’invio della lettera in busta.
Inoltre, prima della spedizione, è opportuno verificare il recapito (residenza, domicilio o dimora) forniti dal lavoratore o comunque risultanti all’azienda
La spedizione con raccomandata presenta un problema legato alla data di ricevimento della comunicazione aziendale da parte del lavoratore (o di suoi familiari o di persone abilitate al ricevimento della sua corrispondenza): infatti tale data risulta in modo certo soltanto dall’avviso di ricevimento, che spesso ritorna in mani aziendali in tempi non brevi, tali da pregiudicare il rispetto dei termini a difesa o dei termini entro i quali adottare il provvedimento disciplinare (a seguito della mancata consegna diretta per rifiuto del lavoratore). In questo caso, può essere utile accedere al sito delle Poste ove viene riportato l’iter di consegna della raccomandata.
Invio a mezzo posta elettronica: l’invio tramite posta elettronica non consente attualmente di avere la certezza che la comunicazione sia effettivamente pervenuta al destinatario. In un futuro prossimo, con la diffusione a livello individuale della posta elettronica certificata, tale problema dovrebbe essere superato, così come già avviene in campo legale, dove il processo di modernizzazione dei sistemi di notifica legale è riscontrabile già negli artt. 133 e 136 del Codice di procedura civile, come modificati dalla Legge 236/2005 (entrambi tali articoli prevedono infatti che tanto la sentenza quanto tutte le altre comunicazioni possano essere effettuate a mezzo telefax o a mezzo di posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi).
Nel caso di caselle di posta elettronica collettive, c’è inoltre il rischio di violare le norme sulla privacy, per il fatto che il contenuto della comunicazione può essere conosciuto da terzi estranei
Consegna tramite ufficiale giudiziario: la notifica tramite ufficiale giudiziario è, assieme alla consegna diretta, il mezzo che consente la massima certezza sia dell’avvenuta consegna. Più della consegna diretta, è inoltre il mezzo che consente di attribuire valore di “avvenuta” consegna al rifiuto del lavoratore di ricevere l’atto.
Attenzione però alle modalità concrete poste in essere dall’Ufficiale giudiziario: se questi utilizza il mezzo postale, ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., si presenta lo stesso problema già evidenziato a proposito dell’invio diretto da parte aziendale di raccomandat. Ai fini del rispetto dei termini a difesa o dei termini entro i quali adottare il provvedimento disciplinare, sarà quindi opportuno che l’azienda verifichi direttamente con l’Ufficio Notifiche lo stato della procedura.