La sospensione cautelare costituisce una legittima espressione del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, volta ad assicurare lo svolgimento ordinato ed efficiente dell’attività aziendale, in pendenza dell’accertamento di possibili responsabilità disciplinari e/o penali del dipendente, per il tempo necessario all’esaurimento del procedimento in sede penale o disciplinare.
In altri termini, il datore di lavoro, prima di determinarsi ad applicare una sanzione disciplinare (e, quindi, nelle more del procedimento disciplinare), può sospendere cautelativamente il lavoratore incolpato, esercitando il proprio potere direttivo o la facoltà eventualmente contemplata dalla contrattazione collettiva (di solito prevista per addebiti così gravi da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro).
Il presupposto della sospensione cautelare, dunque, è solitamente costituito dalla commissione, da parte del lavoratore, di un illecito disciplinare.
Tuttavia, é principio consolidato che la sospensione cautelare del lavoratore non costituisce sanzione disciplinare, in quanto non integra una sanzione, ma configura una misura cautelare di carattere provvisorio, “finalizzata al soddisfacimento di esigenze datoriali o pubbliche e destinata ad esaurire i suoi effetti allorché, all’esito del procedimento disciplinare, il datore di lavoro adotti le sue determinazioni, ponendosi come mera condizione sospensiva del rapporto di lavoro”.
Sono quindi diverse le finalità assolte dallo strumento gestionale afflittivo e da quello sospensivo con finalità cautelare.
E’ poi anche possibile una sospensione cautelare del rapporto senza finalità né cautelari, né disciplinari. Si pensi all’ipotesi di sospensione disposta dal datore di lavoro in attesa dell’espletamento di accertamenti sanitari su un dipendente in prova.
Disciplina. Dalla natura non disciplinare della sospensione cautelare consegue l’inapplicabilità delle regole procedurali previste dall’art. 7 Stat. Lav.
Il datore di lavoro può ricorrere alla facoltà di sospensione cautelare come espressione del suo potere direttivo, anche qualora ciò non sia previsto dalla contrattazione collettiva. In tal caso, egli rinuncia ad avvalersi delle prestazioni del lavoratore, fermo restando l’obbligo di corrispondere la retribuzione in relazione al perdurante rapporto di lavoro.
Il datore di lavoro, infatti, “non può unilateralmente astenersi, seppur temporaneamente, dall’adempimento dei suoi obblighi derivanti dal rapporto di lavoro che consistono non solo nell’obbligo di corrispondere la retribuzione, ma anche in quello di assegnare al lavoratore le mansioni corrispondenti alla qualifica”. Così, ad esempio, il datore di lavoro, secondo la Cassazione, non può limitarsi a rifiutare la prestazione lavorativa, semplicemente allegando un’inadempienza, come, ad esempio, la situazione di incompatibilità del dipendente che tratti affari in concorrenza con il datore medesimo, violando l’obbligo di fedeltà.
Si potrebbe tuttavia ritenere che l’esonero unilaterale (seppur temporaneo) dall’adempimento dell’obbligazione retributiva (in seguito alla sospensione cautelare) può trovare giustificazione, più che nell’esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, nelle regole che presiedono all’inadempimento contrattuale ed al meccanismo previsto dall’art. 1206 cod. civ. laddove vi sia un giustificato motivo per non dar corso alla prestazione offerta; ovvero nell’eccezione di adempimento, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ.
E’ invece considerata lecita la sospensione cautelare dell’attività lavorativa e quella della controprestazione retributiva,se prevista dal contratto collettivo. Quest’ultimo, infatti, rappresenta la principale fonte normativa della sospensione cautelare e, solitamente, indica, in via esemplificativa, le situazioni che la legittimano.
Pertanto, con specifico riguardo alla retribuzione, si può affermare che, in via generale, l’adozione della sospensione cautelare non priva il prestatore del diritto alla retribuzione. Tuttavia, la disciplina collettiva può legittimamente prevedere la sospensione della controprestazione retributiva. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’effetto sospensivo dell’obbligazione retributiva non è ostacolato né dall’art. 27 Cost., co. 2 (principio di non colpevolezza dell’imputato), in quanto non riguarda i riflessi attinenti alla controprestazione retributiva nell’ipotesi di mancata prestazione del dipendente oggetto di sospensione cautelare, né dall’art. 7, co. 4, Stat. Lav., che non si applica alla sospensione cautelare, poiché questa non ha natura disciplinare.
Durata. In tema di durata della sospensione cautelare, si registra un contrasto giurisprudenziale. Infatti, secondo un orientamento, la disciplina collettiva, nel regolamentare la misura sospensiva, non può disporre di un periodo di sospensione della retribuzione più ampio di quello (non superiore a 10 giorni) previsto per la sospensione disciplinare dall’art. 7, co. 4, Stat. Lav.[19]. Diversamente, in base ad un altro indirizzo, più coerente con la natura non disciplinare della sospensione cautelare, questa ultima non deve rispettare il limite massimo di durata di 10 giorni previsto per la sospensione disciplinare dalla norma statutaria.
In mancanza di una previsione contrattuale collettiva che fissi la durata massima della sospensione, la stessa è limitata al tempo occorrente per lo svolgimento del procedimento disciplinare cui accede.
Sospensione e contestazione. La sospensione cautelare non comporta un differimento della contestazione dell’addebito. Quando il datore di lavoro, in base alla previsione del contratto collettivo, disponga la sospensione cautelare dal servizio del dipendente sottoposto a procedimento penale, con differimento anche della definitiva contestazione degli addebiti ai fini del procedimento disciplinare, non vi è violazione del principio di immediatezza della contestazione stessa, dal momento che tale principio ha carattere relativo e va coordinato con le esigenze di accertamento del fatto. Anzi, si può affermare che la sospensione cautelare incide, in senso positivo (indirettamente), sulla valutazione della tempestività dell’intimazione del licenziamento disciplinare, poiché evidenzia la permanente volontà del datore di lavoro di applicare la sanzione.
Il datore di lavoro intenzionato ad irrogare un licenziamento per giusta causa, può, pertanto, inserire nella lettera di contestazione il provvedimento di sospensione cautelare dell’interessato. In tal modo, egli evita che la permanenza in azienda del lavoratore possa rappresentare un elemento contrario alla sussistenza di una giusta causa di recesso ex art. 2119 cod. civ. (la quale, come noto, non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro).
Efficacia. Con riguardo agli effetti sul rapporto di lavoro, non rileva, ai fini della sospensione, la sopravvenuta malattia del lavoratore. Questa, infatti, non incide sull’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa, che è già temporaneamente sospesa, né, di conseguenza, può essere computata nel periodo di comporto. Pertanto, all’esito del periodo di sospensione cautelare, il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore per eccessiva morbilità, calcolando nel comporto anche la malattia intercorsa durante il periodo di sospensione stesso.
L’efficacia della sospensione cautelare si esaurisce non appena sia ultimato il procedimento disciplinare. Inoltre, “ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l’adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio – pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo – si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto e legittima il recesso del datore di lavoro retroattivamente con perdita ‘ex tunc del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima”.
Qualora, invece, ultimato il procedimento disciplinare, non sia irrogata alcuna sanzione, il rapporto di lavoro riprende il suo corso dal momento in cui le relative obbligazioni sono rimaste sospese, con l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere al lavoratore le retribuzioni arretrate, e salvo il risarcimento del danno, laddove sia ravvisabile la violazione di obblighi di correttezza e lealtà ovvero la lesione del diritto del lavoratore a svolgere la sua attività.