Ciò che conta maggiormente in un prestito è il tasso di interesse. Nella guida ai prestiti già se ne è accennato, ma qui vogliamo entrare più addentro all’argomento ed esaminare un po’ più da vicino in che cosa consiste il tasso di interesse o, meglio, i tassi di interesse.
Mi piace definire letteralmente il termine “interesse”: “tornaconto, convenienza, vantaggio, motivazione o profitto di un’azione”, recita il vocabolario on line della Farlex, ovvero, nel senso delle operazioni economiche, “percentuale che spetta a chi presta o deposita denaro”.
E’ chiaro, cioè, che la somma che andremo a restituire all’istituto finanziario o banca che ce l’ha erogata non sarà la stessa, ma sarà maggiorata, appunto, di quel “di più” che costituirà il suo “tornaconto”, la “convenienza” dell’operazione finanziaria.
La somma che restituiremo all’ente erogatore si chiama “montante”, che è il risultato della somma del capitale iniziale più gli interessi.
Ricordiamoci, come assunto, che tra un istituto che eroga un prestito e un cliente che ne beneficia, sarà sempre l’istituto ad avvantaggiarsene (altrimenti, le operazioni di prestito, come quelle di mutuo, o qualsiasi altra forma di finanziamento, non esisterebbero, semplicemente perché non ci sarebbe un guadagno da nessuna parte).
Il tasso di interesse, quindi, è proprio quel “di più” che costituisce il “profitto dell’azione” che qui è il prestito, spettante all’istituto finanziario, è espressa in percentuale e varia a seconda dell’importo della somma prestata (capitale finanziato), della durata del piano di restituzione del debito (piano di ammortamento), dell’importo delle rate.
Per chi concretamente ha da restituire il prestito, il tasso di interesse è quella percentuale in più, che, sommata all’importo (virtuale) della rata, costituisce l’ammontare (reale) della rata spessa.
Per altri dettagli sui tassi di interesse applicati ai prestiti, oltre che a questa guida, vi rimando alle guide sul TAN e sul TAEG.
Storia sui tassi di interesse
I primi prestiti di cui si ha traccia risalgono addirittura al IV millennio avanti Cristo, all’epoca dei Sumeri, quando il “capitale finanziato” consisteva in quantità di metallo e grano; già in questi veniva applicato un primordiale “tasso di interesse”: al momento della restituzione della merce, il commerciante doveva “un di più” di materiale.
La cosa interessante è che, nella storia, si trovano maggiori tracce, specie nell’Antico Testamento e nel Corano, sugli effetti “disonesti” dell’applicazione del principio dell’interesse sul prestito; ed è interessante che il colpevole di “usura” fosse considerato anche un “infedele”, in un certo senso: ossia, chi non rispettava le regole “di mercato”, non rispettava neanche le regole “di morale”, religiose.
Chi volesse approfondire l’argomento, vi rimando al Libro dell’Esodo, capitolo 22.
Già prima il filosofo Aristotele nell’Etica Nicomachea aveva considerato la pratica collegata al prestito e agli interessi una categoria morale negativa.
Ma facciamo un passo avanti di qualche millennio: con la rivoluzione francese del 1789 e il codice civile del 1804 napoleonico, si liberalizza il contratto di prestito.
Altro balzo: 1930, il celebre economista e statistico americano Irving Fisher ne “La teoria dell’Interesse” fonda le basi della concezione economica moderna di “interesse”.
Interesse semplice
L’interesse semplice in un prestito è la forma basilare del tasso di interesse ed è direttamente proporzionale al capitale finanziato e alla durata della sua restituzione (piano di ammortamento).
Si dice che l’interesse semplice si accumula “linearmente”proprio perché cresce semplicemente di una certa frazione uguale nel tempo.
Una volta che il pagamento di questo primo tasso di interesse viene effettuato dal creditore, questi può decidere se reinvestirlo nuovamente: nel caso in cui decida di reinvestirlo nello stesso capitale, allora si cominceranno ad accumulare altri interessi su questi interessi semplici; gli interessi degli interessi: questi sono gli interessi composti.
Quindi, per chiarire la differenza (che è semplice, ma l’obbligatorio gioco di parole sembrerebbe complicarla): se gli interessi si calcolano semplicemente sul capitale finanziato, si parla di tasso di interesse semplice; se questi interessi si sommano al capitale iniziale, allora genereranno altri interessi: gli interessi composti.
Gli interessi si possono calcolare sia sul capitale ed in questo caso è untasso semplice, mentre se gli interessi si sommano al capitale e generano altri interessi, parliamo di tassi d’interesse composti.
Ricordo, come accennato al par. 1, che il capitale inizialmente ricevuto in prestito, sommato agli interessi, è detto “montante”.
Calcolo dell’Interesse semplice
Posta la definizione del paragrafo precedente, userò i seguenti simboli per le formule che seguono: C (capitale), I (interesse semplice), r(ragione o tasso percentuale di interesse), t (tempo, ossia durata del piano di ammortamento), 100 (è la percentuale con la quale viene espresso il tasso di interesse).
Ecco la formula per evincere il tasso di interesse semplice:
I = (C x r x t) : 100
ovvero: l’interesse semplice (I) è = a capitale (C) x ragione o tasso percentuale di interesse x tempo (t) : 100 (percentuale)
Esempio: se ottengo un prestito ammontante ad un capitale di Euro 50.000 al tasso del 9% e lo restituirò in due anni, quale sarà il tasso di interesse (semplice) che alla scadenza dovrò pagare?
calcolo: (50.000,00 x 9 x 2) : 100 = 9.000,00
Gli interessi totali che andrò a pagare saranno Euro 9.000,00.
Se, invece, volessimo calcolare il Capitale o il tasso, partendo dagli altri elementi, allora applicheremo le formule:
C = (I x 100) : (r x t)
Esempio (con gli stessi dati di sopra): (9.000,00 x 100) : (9 x 2) = 50.000,00 ( il capitale iniziale).
Oppure ancora:
r = (I x 100) : (C x t)
Esempio: (9.000,00 x 100) : (50.000,00 x 2) = 9% (il tasso applicato).
Interesse composto: anatocismo
L’interesse composto è anche detto “anatocismo”: il termine deriva dal greco antico e unisce due parole, che significano anà = nuovo e tokòs = interesse; è, dunque, un nuovo interesse che viene applicato al capitale che inizialmente si è ricevuto in prestito.
(Cito tra parentesi che l’anatocismo, nella legge italiana, come vedremo nell’elenco delle leggi più avanti, è consentito solo in ristretti ambiti: vedi Codice Civile, art.1283).
L’interesse composto è l’interesse dell’interesse semplice, come accennato sopra: ossia, quel tasso di interesse che viene calcolato sulla somma del capitale iniziale al quale sono già stati aggiunti gli interessi iniziali; ossia il tasso di interesse sul “montante”.
Nelle pratiche bancarie, relativamente alle operazioni di prestito, di mutuo o di finanziamento, le operazioni relative all’anatocismovengono chiamate “capitalizzazioni di capitale” e possono essere semplici, nel caso in cui si tratti di calcolo di interesse semplice (ma il termine è molto poso usato) e composte, quando si riferiscono agliinteressi composti, appunto.
“Capitalizzare” ha il significato specifico di “Trasformare in capitale i risparmi o gli interessi non consumati” (definizione tratta dal Vocabolario italiano di Sabatini Coletti): proprio perché torna ad essere “capitale”, diventa nuovamente “tassabile”.
Capitalizzazione composta
Non farò qui, come ho fatto sopra per l’interesse semplice, l’esemplificazione del calcolo dell’interesse composto, perché è un’operazione un po’ più complicata e, dato che ci sono delle apposite calcolatrici che lo fanno al posto nostro, perché non approfittarne? Esistono, poi, anche dei siti che offrono la possibilità di fare dei veloci calcoli degli interessi composti.
Voglio segnalare in questo paragrafo (che si voglia o meno calcolare gli interessi derivanti da un sistema di capitalizzazione composto), che salterà subito all’occhio come il debito che alla fine andremo a restituire, ossia il montante vero e proprio, sia parecchio cresciuto rispetto al debito iniziale.
Malgrado il principio dell’anatocismo sia praticato già da tanto tempo, la legge italiana non si è grandemente attivata ad aggiornare questa (grande) fetta dei prestiti o, comunque, di qualsiasi operazione finanziaria, che prevede dei tassi di interesse re-investiti.
La legge che ho citato al paragrafo precedente del Codice Civile, la n.1283, che vige e regola questo argomento, è del 1942. In linea di principio, la legge è contraria al pagamento degli interessi sugli interessi di periodi precedenti, ma di fatto la pratica, la giurisprudenza, ha legittimato le clausole di capitalizzazione, con un evidente contrasto all’antico art.1283.
Sono ancora aperte le discussioni in materia e, fino a quando non si approderà ad un ordinamento vero e proprio, si andrà avanti con sentenze di Corte di Cassazione (una nel 1999 voleva impedire che si derogassero le norme di cui all’art.1283), decreti, norme transitorie; il cosiddetto “decreto salva banche” del 23 luglio 1999 (da cui la legge n.342 del 4 agosto 1999), che ha messo alla luce degli anacronismi in seno agli stessi regolamenti bancari; per approdare ad una serie di sentenze (n.17813 del 13 dicembre 2002, n.21095 del 4 novembre 2004.
Insomma, direi che sulle regole della capitalizzazione la normativa italiana non è proprio chiarissima.
Leggi sull’usura
La legge italiana è, invece, più chiara sull’usura.
Dopo la sentenza della Consulta del 17 ottobre 2000, un secondo decreto fu approvato il 29 dicembre 2000, n.394, firmato dall’allora presidente del Consiglio Amato e dal presidente della Repubblica Ciampi, convertito in legge 28 febbraio 2001, n. 24.
Il decreto costituisce l’“interpretazione autentica“ della legge antiusura del 1996 n.108.
Se le norme relative all’infrazione sui regolamenti (già poco chiari) che riguardano l’anatocismo e il sistema di capitalizzazione rientrano nell’ambito del codice civile, le sanzioni in caso di usura rientrano in quello penale: l’articolo 644 del codice penale annovera l’usura come reato.
In caso di usura è prevista l’apertura di un’indagine penale, con l’intervento del Pubblico Ministero; sul fronte civilistico le sanzioni previste per l’usuraio sono particolarmente penalizzanti (art.1815 c.c., legge 108 del 1996).
Anche il sistema bancario non è immune dal reato di usura, anzi, è prevista un’aggravante nel caso in cui l’usuraio sia un soggetto che esercita l’attività bancaria (art. 644 c.p., n.1).
Cito qui alcuni dei provvedimenti previsti dalla sopra citata legge n.108 del 7 marzo 1996 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.58 dell’8 marzo 1996):
– la nullità del contratto dei prestiti o di qualsiasi operazione finanziaria nella quale siano stati convenuti “tassi usurai” (art.4):
– all’art. 1 è prevista anche la possibilità del sequestro immediato dei beni dell’usuraio per risarcire le “sue” vittime;
– viene istituito un fondo di solidarietà per le vittime di usura che prevede l’erogazione di mutui a 5 anni e tasso zero, proporzionale alle somme derubate dall’usuraio (art.14);
– le vittime di usura che non denunciano il fatto, perdono ogni diritto di tutela (art.11).
A maggiore tutela del consumatore, la Banca d’Italia, che ha sostituito l’Ufficio Italiano Cambi, stabilisce un limite relativo per il tasso di usura, riferito al Tasso Annuale Effettivo Globale (TAEG), rilevato ogni tre mesi.