Tra le nuove forme contrattuali di lavoro, sorte negli ultimi anni e molto diffuse in Italia, c’è la collaborazione occasionale. Si tratta di un contratto professionale tra un committente e un collaboratore, con il quale il secondo adempie a un lavoro per il primo, ma senza vincolo di subordinazione e in qualità meramente occasionale, ovvero senza un rapporto stabile.
La collaborazione occasionale presenta alcuni limiti, per evitare che si trasformi in modo inappropriato in un vero e proprio rapporto di lavoro stabile e sostitutivo delle forme di assunzioni previste per il caso (contratto a tempo determinato, indeterminato, etc.). La collaborazione con lo stesso committente può avvenire per un periodo non superiore a 30 giorni nell’anno solare, non necessariamente consecutivi. Inoltre, il collaboratore, pur potendo stipulare più contratti di collaborazione con lo stesso committente o con più committenti, non dovrà superare complessivamente i 5.000 euro lordi nell’anno solare. Nel caso in cui lo facesse, dovrà informare tempestivamente il committente, in quanto sulla quota eccedente il limite previsto, dovranno essere versati anche i contributi previdenziali all’Inps, ripartiti nei due terzi a carico del committente e in un terzo a carico del collaboratore, sebbene la percentuale applicata sia inferiore a quella vigente per i contratti di lavoro veri e propri.
Da un punto di vista formale, il collaboratore dovrà emettere una ricevuta, numerata progressivamente, in base al numero di collaborazioni svolte nell’anno con lo stesso committente. Oltre a indicare i suoi dati identificativi e quelli del committente, dovrà anche mettere nero su bianco i giorni di lavoro svolti per la collaborazione, la data, la firma e la cifra lorda e netta che richiede al committente come pagamento per la collaborazione svolta.
Infatti, entro il quindicesimo giorno del mese successivo all’emissione della ricevuta, il committente avrà l’onere di versare allo stato il 20% della cifra lorda liquidata al collaboratore a titolo di acconto. Per questo, tali collaborazioni vengono anche impropriamente chiamate comunemente ritenute di acconto.
Dunque, se il collaboratore chiede il pagamento di 1.000 euro per svolgere una certa collaborazione, 200 euro saranno versati dal committente al Fisco e 800 euro gli andranno subito in tasca. In sostanza, il committente applica alla somma richiesta il 20%, che dovrà versare allo stato come sostituto d’imposta. Si tratta di un acconto, perché la posizione fiscale del collaboratore sarà a questo punto definita in sede di dichiarazione dei redditi, verificando se egli debba versare ancora qualcosa allo stato o se, al contrario, è in credito con esso.
A tale fine, bisogna sommare il reddito derivante dalle collaborazioni con altre fonti di reddito (lavoro, pensione, etc.). Solo ai fini previdenziali, invece, il reddito derivante dallo svolgimento di collaborazioni occasionali non va sommato agli altri redditi, se non per l’eventuale quota eccedente i 5.000 euro lordi all’anno.
La dichiarazione dei redditi non è sempre obbligatoria. Si può evitare, quando il collaboratore ha svolto nell’anno collaborazioni sotto i 4.800 euro lordi circa complessivi con lo stesso committente, in assenza di altri redditi. Tuttavia, è consigliabile sempre farla, perché due sono le alternative: o si è in debito con il fisco (o si è tenuti, comunque a presentare la dichiarazione), per cui si ha l’obbligo; oppure si è in credito con lo stato, pur non essendo obbligati alla presentazione, per cui si ha la convenienza, visto che si potrà richiedere al Fisco la restituzione delle ritenute versate.
Si pensi a un collaboratore che ha svolto nell’anno solare diverse collaborazioni con uno o più committenti nel limite di 5.000 euro lordi in tutto. Ciò significa che egli avrà effettivamente intascato 4.000 euro, mentre 1.000 euro sono andati al Fisco a titolo di acconto d’imposta. Se il collaboratore non ha percepito altri redditi o se questi altri redditi fossero tali, per cui le detrazioni per il lavoro dipendente e i redditi assimilati risultano superiori a quanto egli dovrebbe versare come saldo Irpef, egli potrà ottenere il rimborso parziale o finanche totale delle ritenute, ovvero dei 1.000 euro. Se non si presentasse la dichiarazione dei redditi, pur avendone facoltà, si perderebbe questo credito.
Questo tipo di collaborazione presenta, dunque, indubbi vantaggi. Permette a chi ha del tempo libero, pur lavorando già, di arrotondare, svolgendo un lavoretto con poche formalità burocratiche, dato che nell’ordinarietà dei casi, è il committente a predisporre il tutto, ricevuta compresa. Per cifre relativamente basse, come abbiamo visto, si è esentati dal versamento dei contributi previdenziali, mentre si paga solamente sulla quota eccedente i 5.000 euro lordi, nel caso di sforamento dei limiti.
Tuttavia, vi è anche il rovescio della medaglia. Utilizzare questa tipologia contrattuale quale fonte primaria di reddito, qualora si possegga una professionalità richiesta dal mercato, pone il collaboratore a limitare il suo lavoro nell’anno solare, al fine di non eccedere i limiti di reddito e delle giornate lavorate imposti dalla legge. Potrebbero rivelarsi più utili, in quel caso, altre forme contrattuali, non necessariamente pedanti, come il rapporto di lavoro dipendente.