In questa intervista viene descritta come “cultura del sapere insegnare”. E’ per questo che non basta lo studio, e nemmeno la passione. Parliamo di una professione per cui la predisposizione naturale è fondamentale, così come la curiosità per il mondo e la voglia di condivisione. Superficialmente individuati come “assistenti universitari”, oggi, dietro le quinte, andiamo a capire come funziona grazie a Massimiliano.
Di cosa parliamo quando diciamo “professioni accademiche”?
Premettendo che le definizioni sono sempre limitanti e, in certi casi, pericolosamente ambigue, credo che il senso della parola “professione” legato al termine “accademia” può esplicitarsi in quel valore profondo che è la cultura del sapere insegnare. Sembra poco ma la competenza di un’adeguata divulgazione della conoscenza non può essere esercitata da un personale banalmente prestato al mondo delle università. Occorre una preparazione alla base ed una sensibilità al sapere, dunque un costante aggiornamento del proprio modo di vedere le cose, che è il cuore della vocazione di ogni docente. Anche se, per quanto mi riguarda, trovo che un simile termine (professione) non racchiuda affatto la grande mission educativa che è quella di far emozionare uno studente, permettendogli non di avere certezze, ma di poterle anche solo semplicemente sfiorare per la prima volta.
Perché un dottorato? E in cosa si differenzia da un biennio specialistico o un master?
Tra i requisiti di ammissione al Dottorato di ricerca figura l’indispensabilità di aver conseguito un titolo di laurea specialistico. Da questo consegue che le due opzioni non possono essere viste come alternative, ma come momenti diversi di un percorso di conoscenza. Il dottorato garantisce allo studente quel completamento e maturamento dell’apprendistato universitario, contribuendo anche al suo sviluppo di esploratore del sapere, con cui finalmente, oltre ad assimilare i contenuti di altri, egli ne diventa primo artefice.
In cosa consiste esattamente il tuo lavoro di ricercatore?
Studio continuamente testi e articoli, di vecchia o più recente pubblicazione, legate alla mia disciplina. Questa lettura intensa è accompagnata dalla produzione di articoli o saggi in cui si cercano di evidenziare le proprie personali considerazioni argomentative. Tutto questo si rielabora in incontri e seminari aperti con professori e dottorandi di altre università (molte volte anche luminari provenienti dall’estero). Se questo per qualcuno può sembrare solo una serie di operazioni astratte, va ricordato che senza la produzione di nuovo sapere, non si può capire serenamente il momento storico nel quale si sta vivendo.
Quali sono i requisiti per accedere ad un dottorato?
Una laurea quinquennale e una predisposizione al continuo rinnovamento dei propri orizzonti teorici culturali.
Ah dimenticavo, non stare mai fermi.
Ogni corso ha dottorandi o solo qualcuno? Che criteri segue l’ateneo per scegliere i suoi candidati dottorandi?
Ogni corso ha 3-4 dottorandi, ma possono essercene anche meno. I criteri emergono da una prova scritta anonima, da una prova orale integrativa e da un progetto di ricerca con il quale il candidato dimostra di intraprendere un serio e proficuo cammino di approfondimento teorico, in cui è in grado di proporre nuove tesi e di saperle quantitativamente/qualitativamente dimostrare.
In questo contesto, quali sono i vantaggi per i dottorandi e quali quelli per i docenti?
Il dottorando respira l’aria dell’università e può contaminarsi continuamente, stando direttamente accanto a professori con i quali interagisce in maniera ravvicinata. I professori, invece, possono accostarsi a tematiche che magari ancora non conoscono del tutto, scoprendo attraverso la sensibilità di discenti più giovani, l’incredibile fluidità dei saperi.
Risulta essere una scelta impegnativa, soprattutto di questi tempi, studiare per così tanti anni. Non hai mai sentito l’esigenza di un lavoro più “tradizionale” e/o remunerativo?
Esiste oggi in Italia l’idea di un lavoro tradizionale? E aggiungerei… remunerativo? Ancora una volta si è vittima dei luoghi comuni. Quando mai studiare e apprendere dagli altri deve essere considerata una così incredibile impresa? Da sempre amo studiare e non l’ho mai trovato impegnativo. Si studia (e si impara) anche solo affacciandosi alla finestra o parlando con il netturbino che si incontra per caso la notte. Ma ci vuole un certo spirito per afferrare tutto ciò e per capire come e dove si apprendono nuove cose. Non è di soli libri che campa un dottorato come neanche l’uomo vive di solo denaro.
Dopo il liceo e l’università, praticamente non ti sei fermato. E’ un bel sacrificio! Quali sono le tue aspettative nei riguardi di questo dottorato?
Mi aspetto di riuscire a condividere con successo anche solo l’1% di queste conoscenze e di farlo costruendo interazione con la gente.
Cosa consigli a chi è interessato a questo tipo di formazione e percorso professionale?
Di guardarsi attorno e poi di cominciare a passeggiare nella propria città. Anche solo al primo bivio, c’è qualcosa che vale la pena di essere approfondita e raccontata agli altri.